Complessità della violenza umana

Un’analisi di Salavatore Mongiardo sulla complessità della violenza umana.

Si dice comunemente: la violenza è sempre esistita e sempre esisterà. Oppure: l’uomo è violento per natura e non cambierà mai. E’ corretta questa affermazione? O è semplicemente la constatazione del dilagare della violenza nel mondo? Insomma, dalla violenza si può uscire? E come? E come mai mi pongo questo problema?

Sono autore di tre libri: Ritorno in Calabria (1994), Viaggio a Gerusalemme (2002), Sesso e Paradiso (2006). Di questi libri Marina Palmieri ha scritto:

            …sono tre libri ‘scomodi’ con un comune denominatore, l’indagine sulle radici della violenza.

            Aggiungo che la violenza è il tema dominante del Viaggio a Gerusalemme, del quale raccomando la lettura. Questo libro breve è reperibile gratuitamente in rete, in italiano e inglese. Non pretendo comunque che le tesi sostenute nel libro siano la verità: di fronte a un problema così grande come la violenza tutto può essere rimesso in discussione.

            Intanto, di quale violenza parliamo? Ci sono manifestazioni della natura come i terremoti o gli uragani, forze definite cieche perché si propagano senza riguardo per gli esseri animati: non è di questo che parliamo. Ci sono poi gli animali carnivori, tra cui pure alcuni pesci, che si nutrono di altri animali: nemmeno questa chiamiamo violenza, anche se porta all’uccisione di un essere vivente. Ma il leone, una volta saziato, non riparte per la caccia uccidendo tutte le gazzelle che incontra. L’uomo, invece, dagli albori della storia fino a oggi, ha sempre ucciso una quantità sterminata di simili che non solo non mangia, ma spesso onora con la sepoltura. Noi vogliamo occuparci soprattutto di questa violenza, per intenderci quella delle guerre e delle stragi, per vedere se è possibile venirne a capo. Ma esiste ovviamente anche la violenza che porta all’uccisione, al ferimento, al maltrattamento di una persona da parte di un’altra persona, cioè la violenza individuale, sia fisica che morale.

            Come ho scritto nei miei libri, considero la vittoria sulla violenza lo scopo della mia vita: questo perché ho molto sofferto a causa della violenza e perciò cerco di capirne le profonde radici per estirparle. Detto questo, so che molta gente ha sofferto più di me, e infinite persone sono state uccise. Penso al mare di sangue di tutte le vittime, penso all’immenso cumulo di dolore dei milioni (o miliardi?) di esseri tra sofferenze e nell’impossibilità di una vita degna, e sento che è venuta l’ora di affrontare la violenza con coraggio e intelligenza. Il mio coraggio può essere visto come temerarietà o incoscienza: è una valutazione legittima che non discuto. L’intelligenza no, se riuscirò a convincervi che si può analizzare, capire, affrontare e ridurre in maniera rilevante la violenza umana.

            1. Violenza e filosofia

            E’ un argomento poco sviluppato dai filosofi, ad eccezione di Pitagora, del quale parleremo nel capo 3. Forse l’espressione più incisiva è quella di Eraclito, che in uno dei suoi frammenti dice:

            Bisogna spegnere la violenza piuttosto che l’incendio.

            Lo stesso Eraclito, però, sostiene che la guerra è la madre di tutte le cose: dal disordine nasce l’ordine, mentre dall’ordine nasce il disordine.

            Se così è, quale ordine dovrebbe nascere dalla violenza vista come disordine?

            Manca comunque un tentativo convincente di dare una spiegazione filosofica della violenza umana. Questa mancanza potrebbe indicare che nemmeno i filosofi sono andati oltre il comune convincimento che la violenza è sempre esistita e sempre esisterà. Filosofi a parte, sulla violenza non si è scritto molto. Si trovano soprattutto opere su alcuni aspetti della violenza individuale, cioè trattati di psichiatria e criminologia. Si può dire che si è scritto molto di più, a livello scientifico, sulla luna e le stelle che non sulla violenza.

            La filosofia, però, ha avuto molta influenza nel generare sistemi politici che hanno usato la violenza per instaurare regimi ideati proprio da alcuni filosofi. Lo stesso Pitagora, che governò Crotone, fu cacciato dalla rivolta dei crotoniati che gli rimproveravano anche la sua presa di posizione che portò alla distruzione di Sibari.

            In tempi più recenti, è nota l’affermazione che la filosofia dell’Illuminismo accese la miccia della Rivoluzione Francese, come la tesi che i filosofi tedeschi Hegel e Marx sono stati rispettivamente gli ispiratori del sistema nazista e comunista.

            2. Violenza e religioni

            Mi riferisco alle grandi religioni storiche: induismo e buddismo, l’Oriente per intenderci, e il Medio Oriente con ebraismo, cristianesimo e islamismo. Tralasciamo le religioni del passato, eccetto quella dei Greci con gli dèi dell’Olimpo, sulla quale avremo occasione di tornare.

            Di tutte le religioni si può dire che esse hanno cercato di imbrigliare la violenza, domarla, incanalarla. Ma si può anche dire che le religioni non sono state capaci di vincere la violenza o ne sono state complici. A questo punto il discorso diventa delicato perché le religioni rappresentano il nucleo profondo della cultura dei popoli, lo specchio dell’anima, e quindi si rischia di turbare o irritare l’interlocutore mettendo in discussione principi venerandi, sacri, codificati da millenni in stili di vita, arte e tradizioni.

            Per affrontare questo argomento con lo spirito giusto, lasciate che racconti quanto mi è successo nel maggio 2006 in Tunisia. Ero tra le rovine di Cartagine, vicino a Tunisi, e visitavo il tofet, il cimitero dei bambini cosparso di stele di pietra. Dietro ogni stele c’è una nicchia dove all’epoca si poneva una pentola di coccio con gli ossicini dei bimbi primogeniti bruciati vivi, offerti dai propri genitori alle divinità fenicie in occasione di un’eclissi per ottenere che il sole tornasse a illuminare la terra.

            Ci sono discussioni su questo rituale, ma rimane indubbio che i sacrifici di bimbi arsi vivi era praticato nel mondo fenicio. Nel tofet pensai alle eclissi di sole che avevo osservato tranquillamente con il vetro affumicato e, come padre, non riuscivo a capacitarmi che un genitore potesse offrire il figlio in sacrificio. La sola spiegazione che riuscivo a darmi era che la paura aveva spinto quei genitori a compiere un gesto contro natura. Oggi sappiamo in anticipo come e quando si verificherà un’eclissi, nessuno ha più paura che il sole scompaia per sempre e nessuno offre sacrifici.

            È corretto allora ipotizzare che un modello non adeguato a capire la realtà genera angoscia che sfocia in violenza? E che quindi molta della violenza nasce dall’ignoranza?

            3. Violenza e nutrizione

            Questo è l’aspetto più chiaramente trattato nell’antichità per opera di Pitagora. Egli affermava che l’animale era fratello minore dell’uomo, il quale doveva aiutarlo e proteggerlo. Il filosofo rifiutava di cibarsi sia di carne che di pesce, stava lontano da cacciatori e macellai ed affermava che nessun uomo sarebbe stato capace di uccidere un altro uomo se si fosse rifiutato di uccidere l’animale. I pitagorici vestivano bianche vesti di lino -la lana apparteneva alla pecora- e offrivano agli dèi dolci di farina e miele a forma di animali. Con quel gesto contestavano il sacrificio cruento che si celebrava in Grecia e Magna Grecia.

            Il ragionamento di Pitagora era il seguente: se si uccide l’animale per cibarsene, nascerà una cultura che restituirà all’uomo la violenza data all’animale. E’ rimasta memorabile l’offerta del bue di pane che egli fece a Crotone per ringraziare gli dèi quando scoprì il suo famoso teorema, e risparmiò il bue che gli era stato donato perché lo sacrificasse. Per Pitagora la necessità alimentare non era una giustificazione sufficiente, e uccidere animali aveva sempre conseguenze nefaste. Oggi c’è una presa di coscienza e una tendenza all’alimentazione vegetariana per ragioni soprattutto etiche. Manca comunque una ricerca scientifica che provi se l’uccisione dell’animale non porti a una maggiore aggressività nell’uomo a causa di sostanze già presenti nella carne o che la macellazione fa insorgere.

            Sono mai stati misurati i livelli enzimatici, ormonali, cortisonici di animali vivi e degli stessi dopo che hanno subito lo shock dell’uccisione? Come cambiano, se cambiano, le funzioni del cervello di chi si nutre di carne? Ed è vero, come affermavano alcuni pitagorici, che la brama di cibarsi di un essere vivente scatena la voglia sessuale? Ci sono sostanze nella carne che generano eccesso di pulsione sessuale?

            4. Violenza e sensi di colpa

            A me sembra che il senso di colpa, soprattutto se è per colpe mai commesse, si porta dietro la morte. Prendiamo ad esempio il racconto biblico di Eva e della mela. Oggi non sussistono dubbi che l’Eden era la Mezzaluna Fertile, dove si trovavano tutte le specie di animali domesticabili come il bue, la capra, la pecora, il cavallo, e una vegetazione con frutta che i primitivi raccoglievano dalle piante. Quando l’Eden si inaridì per un processo di desertificazione naturale, il fenomeno fu interpretato come punizione per avere colto il frutto proibito. A quel senso di colpa per una trasgressione mai commessa, si aggiunse un altro senso di colpa, quello del sesso. Difatti, nella cacciata dal paradiso terrestre narrata dalla Bibbia, i nostri progenitori si videro nudi e si vergognarono. Il Medio Oriente entrò così nella storia sotto il pesante fardello di due gravi sensi di colpa. I kamikaze delle Torri Gemelle, morti indossando molte paia di mutande per non comparire nudi davanti ad Allah, non sono una riprova del perdurare di quell’antico senso di colpa? E come è possibile liberarsi dalla colpa se si è nella colpa? Allora un innocente deve morire affinché il colpevole si salvi. La violenza diventa sacra, necessaria alla salvezza, ed è molto più difficile riconoscerla ed estirparla.

            Gesù non si è forse ribellato alla violenza sacra del Tempio, che però ha prevalso, e l’ha fatto apparire come vittima sacrificale per la salvezza del mondo?

            L’olocausto dell’agnello senza macchia, offerto mattina e sera nel Tempio di Gerusalemme, in che misura può aver influenzato la cultura ebraica portando a credere che l’essere vittima sia segno di predilezione divina?

            Gesù stesso non viene invocato ogni giorno come agnello di Dio che prende volontariamente su di sé i peccati del mondo?

            Quell’antico rito può aver contribuito a far andare al massacro come agnelli gli ebrei dell’Olocausto? La Bibbia non riporta circa mille volte le parole sangue, sacrificio e vittima?

            Scrive Isaia (53,8):

            Maltrattato si è umiliato e non aprì bocca, come un agnello condotto al macello…

            5. Violenza e definizione

            Dietro ogni assassinio c’è sempre una definizione: definisci un uomo assassino o eretico e lo mandi alla forca o al rogo. Lo definisci nemico, controrivoluzionario, ebreo, e la sua sorte è segnata. D’altra parte, nello sforzo di capire la realtà, l’uomo produce molte definizioni che diventano pericolose quando hanno la pretesa di essere immutabili. Un esempio noto a tutti è quello di Galileo e dell’Inquisizione. La cultura cattolica si era arroccata attorno al modello tolemaico del cosmo e si rifiutava di guardare all’evidenza.

            Le definizioni delle verità di fede, i dogmi, non dovrebbero cedere il posto a una nuova interpretazione della realtà, come avviene per le scienze?

            A me sembra che molte definizioni o dottrine rimangono impresse nel profondo dell’anima senza che ce ne rendiamo conto. Mi ha sempre colpito quello che disse Stalin a Churchill riguardo ai massacri dei russi bianchi da lui ordinati: E’ stata una cosa terribile! Evidentemente Stalin stesso ne era sconvolto, ma non fermò il massacro.

            Si può ipotizzare che i massacri stalinisti sono riconducibili in ultima analisi all’educazione che Stalin ricevette nel seminario ortodosso di Tblisi, cioè alla dottrina di San Paolo, secondo cui sacrificio e vittime sono necessari?

            6. Violenza e Bibbia

            Quando Lutero iniziò la Riforma, era papa Leone X, il figlio di Lorenzo il Magnifico. Al momento della sua elezione, Leone X disse: La Provvidenza ci ha dato il papato, godiamocelo! Egli era stato educato a Firenze in pieno Rinascimento, sbocciato dalla riscoperta dell’antica civiltà greca. Sotto il suo papato, il Vaticano si riempì di statue e dipinti che sono tra i maggiori capolavori mondiali. Similmente, la grande fioritura della cultura araba avvenne quando, intorno al 1100, l’Islam entrò in contatto con la filosofia greca e Avicenna e Averroè furono i più illustri rappresentanti.

            Si può allora affermare che il pensiero greco è indispensabile per migliorare le culture pastorali del Medio Oriente? E sarebbe indispensabile per migliorare anche le altre culture del mondo?

            Ritornando a Lutero, la sua fede era incentrata sul Cristo in croce, cioè riproponeva la dottrina di San Paolo per il quale la salvezza viene dal sacrificio della croce. A prima vista si potrebbe affermare che Lutero si è preso una giusta rivincita sul papa, dedito ai piaceri e alla vendita di indulgenze. Ma si può anche pensare che Lutero ha riportato indietro la storia con la dottrina del sacrificio, cosa che sicuramente non ha fatto Leone X. Inoltre, diffondendo in Germania la Bibbia da lui stessa tradotta, egli probabilmente ha messo assieme due cose molto pericolose: la voglia di sacrificio, caratteristica del mondo biblico, e la facilità di uccidere del mondo germanico, già conosciuta dagli antichi romani. Lo storico Tacito scrive che i legionari romani rimanevano allibiti quando vedevano le madri germaniche scagliare contro di loro i propri figlioletti.

            In poche parole, si può ipotizzare che Lutero, senza esserne cosciente, abbia posto le premesse per avvicinare carnefici nazisti ed ebrei dell’Olocausto? La distruzione di statue, bassorilievi, dipinti, pale d’altare e crocefissi fatta dai protestanti nelle chiese cattoliche, non costituisce un annuncio dell’Olocausto con l’eliminazione di tutti gli ebrei raffigurati quali Cristo, Maria, gli Apostoli, i patriarchi, i profeti ecc.?

            7. Violenza e felicità

            L’aspirazione più grande di ogni uomo è verso quello che è ritenuto il supremo dei beni, la felicità. La ricerca della felicità, almeno da quando esiste la letteratura, è il tema attorno al quale si snoda la storia dell’uomo. La felicità è immaginata come uno stato di beatitudine, di benessere, di salute, di successi: troppe condizioni per essere soddisfatte tutte insieme. E poi c’è comunque la morte… Non per nulla gli dèi dell’Olimpo erano belli, liberi da costrizioni morali, sempre giovani, sani e immortali. Nella vita reale il raggiungimento della felicità si rivela praticamente impossibile, per cui si usa dire che felice è solamente chi è convinto di esserlo.

            È corretto affermare che l’idea stessa felicità, e la tensione per raggiungerla, sfociano in comportamenti violenti quando la vita porta infelicità e quindi frustrazione e rabbia?

            Non sarebbe più rispondente alla condizione umana ammettere che lo scopo della vita non è la felicità, ma l’esperienza di tutte le umane emozioni come il dolore, la gioia, l’odio, l’amore, l’angoscia, la speranza? E quale sarebbe allora, se c’è, lo scopo di vivere tutte le emozioni? Forse la creazione di una coscienza, come la storia del mondo sembra indicare? E’ allora legittima l’affermazione di un politico come Gorbaciov, secondo cui il fine ultimo dell’uomo è dare coscienza all’universo?

            8. Violenza e Gesù

            La sera del Giovedì Santo 5 aprile 2007, durante la celebrazione in San Giovanni in Laterano, Papa Benedetto XVI ha affermato che Gesù potrebbe aver celebrato la Pasqua ebraica, la sua Ultima Cena, nel giorno in cui la fissava il calendario degli Esseni, che erano vegetariani. E’ un’ipotesi di alcuni studiosi alla quale il papa riconosce un alto grado di probabilità. L’ipotesi si basa sui Rotoli del Mar Morto, i libri degli Esseni trovati nella grotta di Qumran nel 1947. Non lontano da Qumran ci sono gli scavi dove sorgevano gli edifici della comunità degli Esseni, scavi che ho visitato nel 1999. Il papa ha detto testualmente:

            …Gesù ha celebrato la Pasqua con i suoi discepoli probabilmente secondo il calendario di Qumran -cioè almeno un giorno prima della Pasqua del Tempio- e l’ha celebrata senza agnello, come la comunità di Qumran che non riconosceva il tempio di Erode ed era in attesa del nuovo tempio.

            L’affiliazione o frequentazione o influenza degli Esseni su Gesù è ormai accettata dagli studiosi. C’è però da chiedersi a chi si ispiravano gli Esseni nella loro pratica rigorosamente vegetariana e nella contestazione del Tempio e di ogni sacrificio cruento. Una fonte, che nessuno può mettere in dubbio, è Giuseppe Flavio. Egli era un colto generale ebreo, di nobile famiglia, che partecipò alla guerra contro i Romani e predisse a Vespasiano che sarebbe diventato imperatore. Nelle Antichità Giudaiche (XV, 371) egli scrive testualmente degli Esseni:

            Si tratta di un gruppo che segue un genere di vita che ai Greci fu insegnato da Pitagora.

            Stando così le cose, si può affermare che il padre culturale di Gesù fu Pitagora con la dottrina basata su tre precetti: proibizione dei sacrifici cruenti, astinenza dal sesso e soprattutto comunione dei beni?

            In questa ottica non acquista nuova luce il fatto che i primi discepoli di Gesù furono Andrea e Filippo che portavano nomi greci? Difatti erano due ellenizzanti, come venivano chiamati gli ebrei simpatizzanti della cultura greca, arrivata in Palestina con l’invasione di Alessandro Magno.

            Quella aspirazione greca e pitagorica di Gesù non sarebbe rafforzata dal fatto che l’apostolo Andrea scelse la Grecia come terra di predicazione? E un’altra conferma non verrebbe da San Giovanni Evangelista che a Patmos, in Grecia, scrisse l’Apocalisse che termina con la visione della Gerusalemme celeste, nella quale…

            … non c’è più il tempio e l’agnello viene adorato vivo sul trono di Dio? (Apocalisse, 21, 22 e segg.).

            Cristo è arrivato a Crotone, si dovrebbe dire parafrasando il celebre romanzo di Carlo Levi Cristo si è fermato a Eboli.

            9. Violenza e sesso

            È l’argomento sul quale si è scritto di più, soprattutto grazie a Freud che era medico, ebreo, austriaco e aveva indubbiamente una vasta cultura. Il suo contemporaneo Hitler non disponeva della cultura di Freud e soffriva di gravi problemi sessuali, che sembra si manifestassero nel bisogno di essere maltratto dalle donne. La sua prima fidanzata, sua nipote Geli, si uccise, ed Eva Braun tentò due volte il suicidio. Freud morì in Inghilterra dove si rifugiò a causa delle leggi razziali emanate proprio da Hitler. Nel suo tentativo di decifrare le pulsioni sessuali, Freud dovette ricorrere alla cultura greca per descrivere i fenomeni più importanti: complesso di Edipo, Eros e Thanatos, Narcisismo ecc. La Grecia antica difatti aveva riconosciuto come umani quei fenomeni che per la cultura europea cristiana erano scandalosi.

            Una domanda che si potrebbe porre è: come e quando il sesso rende augurabile andare in guerra, addirittura morire, pur di finirla con pulsioni che non trovano sbocco?

            Come si spiegano diversamente tutti i giovani che scappavano da casa per andare volontari al fronte? Si dice: fate l’amore, non fate la guerra. E’ verificabile che una pratica sessuale libera distoglie dalla guerra e dal desiderio di morte? O al contrario ha ragione Freud quando afferma che ogni cosa vivente tende alla quiete, cioè alla morte? Lo stesso Freud, poi, afferma che il primo piacere dell’uomo è uccidere: quindi, come si può contrastare la violenza se uccidere è il primo dei piaceri, addirittura superiore al piacere sessuale che Freud stesso aveva definito il massimo dei piaceri?

            E ancora: Hitler e Goebbels nel bunker della Cancelleria a Berlino, prima di suicidarsi praticarono l’omicidio delle mogli e Goebbels anche dei figli. E non fecero la stessa cosa gli ebrei a Masada, sgozzandosi a vicenda? La paura di cadere in mano ai Romani, che certamente avrebbero risparmiato donne e bambini pur facendoli schiavi, potrebbe aver mascherato, in tutti e due i casi, la voglia di morte e il piacere di uccidere?

            10. Violenza e surplus erotico

            Ho letto una cifra astronomica sul numero di visite giornaliere di siti porno in ogni parte del mondo, anche nei paesi arabi. E’ un fatto totalmente nuovo nel panorama della storia. Sembra che tutti i continenti e le classi sociali siano travolte da questa irrefrenabile voglia di sesso. Riflettendo su questo fenomeno, è facile osservare che il sesso unisce, mentre la religione divide. Nessuno, di fronte a una bella ragazza, si pone il problema se lei è di una religione piuttosto che di un’altra. Diverso sarebbe il caso se un israeliano e un’araba volessero convolare a nozze. Scatterebbero divieti incrociati delle autorità religiose che renderebbero impossibile l’unione.

            Questa fiera mondiale del porno avvicina gli uomini in modo positivo o ispira comportamenti violenti di pedofilia, prostituzione e turismo sessuale? O cambia addirittura la pratica sessuale dentro la coppia rendendola più disinibita, ma anche più perversa e violenta? Oggi la sublimazione religiosa del sesso è scarsamente praticata. Quali finalità o mezzi alternativi si possono escogitare per limitare i crimini sessuali in aumento?

            D’altra parte, non è più pensabile che il sesso possa avere solo funzioni procreative. Siamo sei miliardi di abitanti e la vita media si è allungata. Il sesso è comunque grande dispensatore di emozioni e, perciò stesso, spinge verso la conoscenza del corpo, dell’animo, della persona, del mondo. E’ corretta la tesi, sostenuta nel mio libro Sesso e Paradiso, che…

            …il sesso è forza invincibile, necessaria per scoprire il mistero dell’Esistente e trasformarlo in Dio. Il sesso altro non è che la porta dell’immortalità?

            11. Violenza e teologia

            Il numero di persone uccise in nome di Dio è incalcolabile: se non adori il nostro Dio, devi morire; se adori gli idoli, sarai ucciso; se non riconosci Maometto come profeta… A me sembra evidente che non di Dio parliamo, ma di un concetto di Dio che varia secondo le culture storiche. Quindi, ritorniamo al problema della definizione, non della realtà di Dio, che, per ammissione generale, rimane misteriosa e inaccessibile. Si potrebbe allora dire che gli uccisi in nome di Dio sono morti per una definizione? E si potrebbe trovare una definizione nuova di Dio che superi tutte le definizioni precedenti?

            Il problema basilare di Dio sta, a mio modo di vedere, nel concetto di creazione: le culture mediorientali, ma anche quella greca, vedono il mondo come frutto di creazione divina. Buddha non si pone il problema di Dio perché, se si presuppone che Dio non è stato creato da nessuno, il problema rimane irrisolto.

            Proviamo a immaginare una soluzione diversa. Invece di Dio, parliamo di Esistente: in quanto esistente è sempre esistito e sempre esisterà. L’Esistente abbraccia tutto ed è di natura misteriosa, destinata però a conoscersi. La luna è rotonda, ma non lo sa: l’uomo lo sa. L’umana carne è il passaggio obbligato tra Esistente misterioso ed Esistente conosciuto, che possiamo tranquillamente chiamare Dio, il quale allora sarebbe figlio, non padre dell’uomo.

            Una definizione del genere potrebbe essere terreno di incontro e superamento delle religioni storiche? Se ipotizziamo che ogni persona confluisce in Dio come conoscenza, non si abbasserebbe il livello degli scontri tra religioni?

            12. Violenza e desiderio

            La visita di Lumbini, la città natale di Buddha in Nepal, non era prevista nel viaggio al quale partecipai a fine 2001. Una rara nebbia a Benares, dove eravamo diretti, impedì il decollo da Katmandu. Dovemmo raggiungere Benares con un pullman che passò da Lumbini, città, quest’ultima, che avevo tanto desiderato vedere. A Lumbini sentii ancora più forte dentro di me quella forza che avevo avvertito a Crotone, visitando la scuola di Pitagora, e a Gerusalemme nel Santo Sepolcro. Era come una potentissima energia che veniva da mondi lontani e mi diceva: Va’ avanti, va’ avanti!

            Buddha insegnò che la vita è dolore, che il dolore nasce dal desiderio, e che il distacco dal desiderio è necessario per raggiungere lo stato di quiete, il nirvana.

            Se però seguiamo la mia ipotesi dell’Esistente, prima misterioso e poi conosciuto, vediamo che il desiderio potrebbe avere il compito di scardinare il mistero obbligandoci ad andare verso la realtà delle cose. Perché si sono mossi gli eserciti di Alessandro, di Cesare, le caravelle di Colombo, le spedizioni sulla luna, se non per darci la conoscenza? Quindi, il desiderio sarebbe il motore della conoscenza? La storia dimostra che i desideri, anche di cose che sembravano impossibili, si sono realizzati. Un esempio per tutti è il volo, ritenuto impossibile per millenni, e Icaro fu il mitico eroe. Ma si è anche realizzata la vittoria su molte malattie, l’esplorazione del cosmo ecc.

            Si potrebbe allora dire che alla base di molti problemi dell’uomo c’è la mancanza o la poca audacia nel desiderio, che cioè non desideriamo abbastanza e con forza? I miracoli compiuti dai santi delle varie fedi e le grazie ricevute, cosa altro sono se non un forte desiderio realizzato? E le preghiere non sono il rafforzamento di un desiderio?

            13. Violenza e visione rovesciata

            Abbiamo parlato di violenza in un ambito circoscritto al mondo occidentale. Ovviamente la violenza coinvolge il mondo nella sua totalità, ma ho dovuto limitare il discorso perché non ho conoscenze sufficienti delle varie culture per poter formulare ipotesi che abbiano un minimo di buon senso.

            Tuttavia, mi sembra di poter enunciare un principio che chiamerei della visione rovesciata: quello che ieri sembrava verità indiscussa, oggi appare inganno; quello che sembrava azzardo, è oggi nuova frontiera della conoscenza. La storia di Galileo è illuminante perché afferma che è vero il contrario di quello che credevamo: non il sole, ma la terra gira. Seguendo su questo binario, non si dovrebbe dire che la vita non è un mistero, ma è nella vita che il mistero si svela? Che il sacrificio cruento non cancella il peccato, ma è il peccato stesso? Che la Bibbia non è il libro della salvezza, ma il vademecum della morte, vista la terribile sorte che la storia ha riservato agli ebrei di tutti i tempi?

            Questa visione rovesciata si può praticare solo con la libertà di pensiero. Quando Atene contava trentamila abitanti, ai tempi di Platone e Aristotele, c’erano circa venti scuole di filosofia, quasi sempre in disaccordo tra di loro. Eppure fu l’epoca del suo massimo splendore, proprio perché il pensiero godeva di grande libertà.

            14. Violenza e Calabria

            Nell’estate del 2007 il mondo ha assistito al divampare degli incendi, chiaramente volontari, in Grecia e Magna Grecia: dal Peloponneso alla Puglia alla Campania alla Sicilia alla Calabria. Durante quegli incendi, in Calabria abbiamo tenuto il sissizio portando il bue di pane di Pitagora. Il sissizio, o convivio, fu l’atto fondatore dell’Italia con re Italo. La Calabria reagisce alla sua decadenza con il sogno più grande dell’umanità: la fine della violenza (vedi il mio libro Ritorno in Calabria, gratuito in rete).

            L’assassinio di sei persone a Duisburg ha attirato l’attenzione su San Luca d’Aspromonte, dove nel 2001 avevamo tenuto un altro sissizio. Quel giorno poggiammo il canestro con il cibo su un antico marmo di altare, sul quale erano incisi il teorema e la stella a cinque punte di Pitagora, in seguito diventata simbolo del comunismo e del terrorismo. Giamblico, nella Vita Pitagorica, parla di alcuni pitagorici che si rifugiarono dalle parti di Reggio e condussero vita solitaria…

            15. Violenza e morte

            Qualcuno ha affermato che la violenza, soprattutto la grande violenza, è ineliminabile in quanto sarebbe un mezzo per esorcizzare la paura della morte. E’ ovvio che la morte rappresenti la più grande angoscia dell’uomo. Come ci siamo liberati dalla paura dell’eclisse, è ipotizzabile che un giorno ci libereremo della paura della morte capendone i meccanismi che ci sfuggono? Cosa hanno da dire oggi le neuroscienze e la neurobiologia a proposito della morte? Inoltre, come si spiega che nel mondo orientale la vita e la reincarnazione sono viste come punizione e, al contrario, nel mondo occidentale si spera sempre nel paradiso, nella vita eterna, nel Dio della vita? Cosa nasconde questo contrasto culturale?

            E cosa voleva significare Eraclito quando affermava che, se gli uomini potessero immaginare quanto di bello li aspetta dopo la morte, ne sarebbero grandemente stupiti?

            16. Violenza e antiviolenza

            Preferisco il termine antiviolenza al posto di nonviolenza. Quest’ultima nasconde, a mio modo di vedere, una voglia oscura di morte, evidente nei due esponenti maggiori di questa corrente, Gesù e Gandhi. Gesù dice più di una volta nei Vangeli di voler dare la vita per gli altri. Gandhi ripete esattamente la stessa cosa quando scrive di voler perseguire un ideale fino a dare la vita. Si potrebbe dire, senza voler mancare di rispetto, che il loro desiderio è stato esaudito. La matematica insegna che, invertendo l’ordine dei fattori, il risultato non cambia.

            La violenza subita è sempre violenza: accettare il martirio sarebbe come accettare il male?

            Al contrario, il concetto di antiviolenza afferma che la violenza non va data, ma nemmeno accettata. Antiviolenza vuol dire capire la violenza nei suoi intrecci più nascosti e combatterla con determinazione e intelligenza, al limite, anche con l’uso ragionato della violenza stessa. Sembra un paradosso, ma vorrei spiegarlo con un esempio. Se un grande incendio avanza veloce nella prateria, il solo modo per salvarsi è appiccare il controfuoco dove ci si trova, in modo che, quando il grande incendio arriva, ci si possa riparare nel bruciato. Una violenza minore, a volte, è necessaria per fermare una violenza maggiore: la nonviolenza significa subire, l’antiviolenza vuol dire rifiutare e combattere.

            17. Violenza ed economia

            L’economia ha sempre svolto un ruolo determinante già da quando l’uomo primitivo doveva procurarsi il cibo, prima come raccoglitore, poi come cacciatore e infine come agricoltore. Il mondo di oggi, essenzialmente produttore di beni e di servizi, è molto cambiato da allora, ma la necessità economica di procurarsi i mezzi per vivere è sempre il primo problema di ogni individuo, salvo rare eccezioni.

            La violenza è forse collegata all’economia più di quanto non appaia a prima vista. Intanto la violenza, come nelle guerre, distrugge risorse economiche che avrebbero potuto avere un impiego alternativo. Il costo economico di tutte le guerre è semplicemente incalcolabile. Poi c’è la violenza che nasce da una pretesa dei regimi politici di far funzionare meglio l’economia, come il marxismo-leninismo, con risultati che sono stati deludenti. E ancora la violenza da guerre per accaparrarsi territori ricchi di risorse, come per esempio la conquista dell’America da parte degli europei.

            Quali potrebbero essere i correttivi ai sistemi economici attuali per abbattere il livello di violenza? Per esempio, l’abolizione del diritto di sovranità degli stati sulle risorse del sottosuolo, come il petrolio?

            Oggi i danni all’ambiente, gli alti consumi energetici e il surriscaldamento del pianeta creano grandi problemi. Potrebbe concepirsi una struttura sociale più sobria, sullo stile dei campus universitari, dove si possa vivere, lavorare e imparare per tutta la vita, eliminando la pensione e l’abbandono dell’attività lavorativa?

            L’angoscia generata dallo spettacolo quotidiano della violenza nei media, unito alle difficoltà della vita, non potrebbe essere la causa del diffondersi della droga a livelli impensati?

            18. Violenza e natura

            Torniamo al problema della natura dell’uomo, con il quale abbiamo iniziato il discorso. Anche in questo caso mi sembra di poter dire che si tratta di un problema creato dalla definizione: la natura sarebbe sempre uguale, praticamente immutabile. E’ ovvio che il leone di centomila anni fa non sia sostanzialmente cambiato. L’uomo è invece quasi totalmente cambiato con il percorso della conoscenza. Un cammino lunghissimo che lo ha condotto in ogni angolo della terra, gli ha fatto creare linguaggi come la poesia, la musica, la pittura, la filosofia. Ma l’ha anche portato nel cosmo e lo ha indotto a porsi domande sulla ragione ultima delle cose.

            Si può tranquillamente dire che nel corpo di un uomo di centomila anni fa e nel corpo di un uomo di oggi abitano due nature diverse. Da animale primitivo, l’uomo non ha avuto altra scelta che andare verso la conoscenza, e tutte le resistenze opposte a questo traguardo hanno provocato solo guasti e lutti. Quale sarà la natura umana nel futuro? Sembra proprio che avesse ragione Pico della Mirandola quando scriveva:

            Gli altri esseri hanno una natura definita e chiusa entro termini e leggi…Tu (uomo), non rinchiuso in stretti confini, secondo il tuo libero arbitrio, determinerai la tua natura. Potrai degenerare verso gli esseri inferiori, i bruti, o rigenerarti verso i superiori, i divini, a tuo esclusivo giudizio… (Pico, De hominis dignitate, preamb. 18-20).

            Alla fine, il cambio di natura dipenderebbe da una scelta: se si vuole una natura migliore, si può? Basta desiderarlo e compiere azioni in sintonia con quel desiderio?

            Esortazione

            Queste pagine possono apparire come uno spaccato di lotta tra il Medio Oriente e la Grecità. E lo sono, in parte, per la cultura classica con la quale sono stato formato. Ma ho ben presente che la violenza ha moltissimi aspetti qui non considerati. Perciò nasce la proposta per la creazione di una:

ACCADEMIA MONDIALE ANTIVIOLENZA

Per lo studio e la prevenzione della violenza umana

            Un’Accademia che raduni il meglio delle menti da ogni angolo della Terra e che veda coinvolti i più insigni studiosi nei vari campi della psicologia, psichiatria, antropologia, biochimica, neurologia, sociologia, etnologia, filosofia, diritto, storia, fisica, matematica, statistica, ecc.

            Proviamo a pensare al cancro. Esiste diffusamente, ma infinite ricerche e sforzi si fanno per vincerlo, e spesso ci si riesce. La violenza è un male antichissimo che ha proliferato in tutte le forme culturali, religiose, sociali, familiari, produttive, militari, comportamentali, sessuali. L’elenco è inesauribile. Oggi abbiamo la possibilità di studiare tutto, dalle ali delle farfalle alle galassie. Eppure non c’è un centro mondiale, un’università planetaria che si dedichi unicamente allo studio e al coordinamento degli studi sulla violenza. Senza vergogna e senza pregiudizi, in quel centro si scopriranno le alleanze con le quali la violenza esercita il suo dominio con costi umani ed economici insopportabili.

            Metto questo messaggio dentro una bottiglia e l’affido al mare della vita. Su una spiaggia qualcuno lo raccoglierà.

            L’Europa ha vissuto in guerra per migliaia di anni, ma da sessanta anni vive in pace: come mai è successo? Non è questo un esempio evidente che le cose possono cambiare?

            Che mondo meraviglioso potrebbe nascere se ONU, USA, COMUNITÀ EUROPEA, CINA, RUSSIA e CHIESE delle varie religioni partecipassero a un progetto così ambizioso! Ma soprattutto se ogni persona guardasse in maniera nuova al problema dei problemi: la violenza!

            Termino con un’affermazione che può essere giudicata utopica, ma che sento profondamente mia: Un giorno la violenza finirà, per quel giorno io voglio vivere, quel giorno fin d’ora saluto!

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